Sono un po’ nervoso.
Oggi è molto diverso perché una parte degli ultimi anni l’ho passata a suonare “assieme” ai bambini, ma quasi mai mi è capitato di dover suonare “per” i bambini.
Questa volta siamo molti più veloci nel gestire lo “spostamento dei banchi” che comunque resta un fattore un po’ destabilizzante e che ti costringe a una fretta non adatta alla situazione. La classe è felicemente irrequieta e mi pare di capire che una parte di questa emozione sia anche legata alle belle sensazioni che siamo riusciti a lasciarle la volta passata. Quindi, ben venga tutta questa energia.
Riesco quasi a sentire il sospiro di sollievo che tiriamo noi operatori nel renderci conto che una cosa che eravamo solo immaginati, già dopo la letture dei primissimi periodi di “Pezzettino”, sembra funzionare bene anche nella pratica.
Così Veronica legge accarezzando con decisione il testo e io l’accompagno scandendo accordi dal suono etereo col mio sintetizzatore. I bambini mi sembrano molto presi e lo dico pensando a due cose: alcuni hanno lo sguardo perso sul viso di Veronica e si lasciano cullare dalla musica, altri hanno qualche difficoltà a restare in silenzio ma quando si lasciano andare lo fanno commentano la storia e seguendo comunque quello che stiamo raccontando.
La discussione che segue la lettura è irrequieta, ciò nonostante riusciamo a renderci conto che il messaggio della storia, piazzata lì per farli riflettere sul proprio se, è arrivato abbastanza forte e chiaro.
Finita l’attività di movimento della giornata, “Atomi” tramutato per l’occasione in “Pezzettini”, si passa al momento chiave della giornata: ricostruire il proprio volto disegnandone le diverse parti su dei cartoncini.
Già dall’inizio dell’attività risalta nuovamente una cosa che avevo già notato la settimana scorsa in questa classe: le bambine hanno una capacità di scrittura, ma anche uno spirito pratico, decisamente più spiccato dei bambini che hanno bisogno di molto aiuto per portare a termine l’attività.
Come la volta passata questi tendono a raggrupparsi attorno a me, un cliché che dobbiamo sicuramente provare a capovolgere negli incontri futuri. L’attività comunque in linea di massima si svolge bene e nel riosservare tutti in cerchio i diversi lavori sembra essere passato davvero il messaggio che volevamo comunicare. Per salutarci optiamo per il tamburo su cui esprimere come ci siamo sentiti.
A fine laboratorio siamo stanchi, sono ancora moltissime le cose da perfezionare e mettere a punto, ma anche molto motivati: soltanto una persona molto poco attenta non si sarebbe resa conto delle enormi possibilità che in queste sole tre giornate di laboratori ci si sono parate di fronte.
Penso a due detti che hanno segnato praticamente tutta la mia vita ed efficaci per descrivere questo laboratorio:
1) le scarpe strette fanno inventare nuove danze.
2) Meglio dove controllare un cavallo impazzito che dover insegnare la corsa ad un bradipo.